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e x t r a s p a z i o presenta la personale Umakadenethwa engenadyasi di Nicholas Hlobo (Cape Town, 1975).

Si tratta della prima mostra in Italia di questo giovane artista sudafricano, la cui opera, distinguendosi per un’inusuale chiarezza di visione, ironia e sensibilità ai materiali, coinvolge lo spettatore nell’interrogazione ludica e nello smantellamento di temi e costruzioni culturali ideologiche come l’identità sessuale e quella etnica.

Con divertente autoironia, Nicholas Hlobo rappresenta, durante l’inaugurazione della mostra, l’intramontabile clichè del paragone tra performance d’artista e performance sessuale (Dubula), nello specifico di un’icona universale resistente alle intemperie: ‘il maschio nero’. Di etnia Xhosa (come anche l’ex presidente del Sudafrica Nelson Mandela), l’artista fa frequenti riferimenti nei suoi lavori alle idiosincrasie e agli idiomi della sua cultura d’origine, utilizzando i valori metaforici e la “plasticità” della lingua, che aggiungono nuovi livelli di senso e stratificazioni associative all’opera.

Ad esempio, i titoli di alcuni lavori esposti sono: Dubula (che sta per ‘sparare con un fucile’ o anche per ‘inflorescenza’), e Ubomvu (‘una cosa di colore rosso’ o ‘una persona macchiata di sangue’, ma anche ‘arrabbiata’). Il termine viene inoltre usato come insulto nei confronti di chi insiste a vivere e vestire secondo le tradizioni Xhosa, di chi indossa durante i riti la tipica maschera rossa del gruppo e resiste all’influenza delle culture europee.

In mostra, una serie di disegni e cinque sculture di grandi dimensioni, costruite con materiali di recupero: tronchi di legno modellati dal vento, erosi dall’acqua e scavati dalle termiti, e gomma industriale proveniente da camere d’aria, che suggerisce un senso di protezione ma anche di vulnerabilità. Nelle sue opere, Nicholas Hlobo interroga in modo obliquo la patologica malafede con la quale, anche nelle moderne forme di società, l’ansia di inadeguatezza nei confronti delle complessità del mondo contemporaneo si placa in una guerra (non sempre fredda) contro chiunque non rientri per nascita, per visione del mondo o per comportamento nelle norme di una maggioranza aggressiva che celebra il proprio conformismo (da ricordare l’umiliante bagarre attualmente scatenata in Italia dal tentativo di formulare una legge che riguardi le cosiddette convivenze di fatto, incluse quelle di persone dello stesso sesso).

Il titolo della mostra, Umakadenethwa engenadyasi, è traducibile come: ‘colei o colui che affronta la pioggia senza protezione’. Si tratta di un detto Xhosa che si riferisce a chi si espone nel fronteggiare le difficoltà delle proprie scelte. Indica spesso la donna che si libera dal controllo degli uomini, che lavora per la propria indipendenza e che ha rapporti con chi desidera e quando lo desidera; la donna che rispetta se stessa.

Viene anche usato per designare chi non si adegua agli stereotipi antiscientifici indicati recentemente dalla senatrice nonché neuropsichiatra e psicoterapeuta Paola Binetti: “l’omosessualità non è normale, è una devianza dalla norma iscritta in un codice morfologico, genetico, endocrinologico e caratteriologico” (trasmissione televisiva “Tetris”, La7, 3 marzo 2007).

Guido Schlinkert

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Nicholas Hlobo